Il 22 maggio 2014 la III Sezione Civile della Corte di Cassazione, con la sentenza n.11364 ha affermato la responsabilità di un gineocologo per non aver, volutamente, avvertito una madre della malformazione del proprio bambino durante la gestazione. Il ginecologo si è appellato all’obiezione di coscienza che però non è stata sufficiente a giustificare il silenzio sulla patologia del feto. Tale omissione ha impedito alla madre di scegliere se praticare l’aborto terapeutico. Il nostro ordinamento prevede la possibilità del ricorso all’aborto terapeutico, ex legge 194/78, legge che permette al medico di ricorrere all’obiezione di coscienza. L’obiezione di coscienza non preclude il dovere del medico di informare il paziente delle problematiche scoperte. La Corte d’Appello di Napoli, cui era stato sottoposto il caso, aveva riconosciuto alla madre un contributo annuo, ma nessun tipo di contributo per il marito. La Corte di Cassazione ha invece stabilito che il contributo per il nascituro non possa essere temporaneo, data l’entità della malformazione, e ha riconosciuto il diritto di un contributo anche per il padre del bambino. Inoltre ha confermato che l’assicurazione del medico non può coprire il danno in quanto il medico, omettendo l’informazione clinica, ha volutamente rinunciato al proprio diritto di obiezione di coscienza.