La privacy è un diritto fondamentale, tutelato anche all’interno del proprio domicilio. Ma cosa succede… Quando il reato di interferenze illecite nella vita privata coinvolge il titolare del domicilio?
Chi è lecitamente presente in un luogo di privata dimora può ascoltare volutamente e magari registrare in qualche modo conversazioni alle quali non ha partecipato? La Corte di Cassazione penale, Sezione VI, con la sentenza n. 39550 del 28 ottobre 2024, ha chiarito un punto cruciale in materia di reati contro l’inviolabilità del domicilio. Il reato di interferenze illecite nella vita privata, disciplinato dall’articolo 615-bis del codice penale, può configurarsi anche quando l’autore del fatto sia titolare o contitolare del domicilio.
Questo significa che anche chi vive in una casa o ne è il proprietario può commettere un reato punibile se, senza consenso, registra conversazioni o cattura immagini della vita privata di chi si trova in quel domicilio. La Cassazione ha stabilito che la mancanza di consenso, in questo come in tanti altri casi, è l’elemento essenziale per configurare il reato. Non conta se l’agente abbia diritto a stare nel luogo: ciò che rileva è la violazione della sfera privata dell’altra persona.
Quando il reato di interferenze illecite nella vita privata coinvolge il titolare del domicilio
Questa sentenza sottolinea come la legge tuteli la privacy in modo rigoroso, anche all’interno delle mura domestiche. Non basta essere titolari del domicilio per giustificare atti intrusivi. La privacy è un diritto inviolabile, e ogni violazione può comportare conseguenze legali gravi. Le vittime di violazioni della privacy possono ottenere un risarcimento per i danni morali e materiali derivanti da queste condotte.
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